Ho letto l'articolo scritto da Carlo Verdelli sul Corriere di sabato 18 ottobre e sono rimasto profondamente stupito da come si possa strumentalizzare una notizia al solo scopo di attaccare un Governo probabilmente non gradito. Verdelli paragona l'Italia all'Ungheria di Orbán ed all'America di Trump, con la chiara intenzione di dare un'accezione negativa a tale raffronto, per aver varato un disegno di legge finalizzato ad eliminare dalle scuole medie l'insegnamento dell'educazione sessuale. Indipendentemente dal merito della scelta, si può essere favorevoli o contrari all'insegnamento dell'educazione sessuale a ragazzi/bambini di 11, 12 o 13 anni, mi stupisce il fatto che una decisione di «politica educativa» possa essere sufficiente a tacciare di presunto illiberalismo, nelle intenzioni dell'autore, la maggioranza di governo.
Cordiali saluti
Tito Greco
Caro Tito,
ti ringrazio per aver preso carta e penna, o meglio, per aver scritto, e avere sollevato un tema che merita attenzione e chiarezza: l'educazione sessuale e affettiva nelle scuole italiane e il ruolo delle famiglie, delle istituzioni, della libertà educativa. Citi l'articolo di Carlo Verdelli e noti come questi abbia paragonato l'Italia all'Ungheria di Viktor Orbán e all'America di Donald Trump con l'intento di relegare sotto la medesima impronta negativa lo schieramento politico che appoggia il governo attuale. Ebbene, ritengo che il paragone, oltre a essere facile, sia in parte fuorviante, specialmente quando non distingue con precisione grado, contesto e obiettivi reali dei provvedimenti in questione. Nel merito, è vero che l'Italia non ha ancora reso obbligatoria, in modo uniforme e regolamentato, l'educazione sessuale o affettiva nelle scuole medie e superiori. Ma è anche vero che l'attuale maggioranza parlamentare, composta da forze politiche di cui il primo partito è Fratelli d'Italia, ha promosso proposte specifiche per garantire che, se tali percorsi si svolgono, vengano intrapresi nel pieno rispetto della libertà educativa delle famiglie e in modo trasparente, evitando «indottrinamenti» o imposizioni ideologiche.
La posizione di Fratelli d'Italia è chiara. Si chiede che ogni attività didattica di natura sessuale, affettiva o etica sia preceduta dal consenso informato della famiglia. Si vuole garantire che le famiglie abbiano la possibilità di conoscere i materiali didattici, nonché la finalità educativa e metodologica dei percorsi proposti. Si rifiuta che la scuola diventi «un campo di battaglia ideologico» dove si impongono narrazioni o teorie, che alcuni definiscono «gender», senza adeguato confronto con i genitori. Da parte mia, condivido pienamente questo orientamento: trovo che la scuola debba restare luogo di insegnamento, formazione, riflessione, non di «imposizione» ideologica.
Non credo che sia utile, né rispettoso dei ragazzi, introdurre in maniera frettolosa e generalizzata corsi che possano generare confusione identitaria, senza un'adeguata preparazione degli insegnanti, senza il coinvolgimento di padri e madri, senza una chiara regolamentazione statale.
Sì, è giusto insegnare ai bambini come nasce una vita, come funzionano gli organi riproduttivi, come si instaura una relazione rispettosa, come evitare malattie sessualmente trasmissibili. Ma c'è una differenza tra questi obiettivi e quella «educazione all'identità di genere» che molti temono e che io e Fratelli d'Italia reputiamo possa trasformarsi in pressione culturale su fanciulli ancora in formazione.
Tu hai ragione quando sottolinea che l'età di 11/13 anni è un'età di transizione, di scoperta, ma anche di fragilità. Per questo sono convinto che ogni percorso su tali temi debba essere modulato, trasparente, facoltativo, supportato dai nuclei familiari. Non imposto.
Mi chiedi dunque quale sia la mia posizione sul provvedimento. La mia risposta è che lo approvo nella misura in cui difende la centralità della famiglia, la libertà educativa, l'autonomia della scuola e la trasparenza didattica.
Infine, anticipo che nei prossimi mesi potremmo assistere a ulteriori discussioni parlamentari in merito, e sarà fondamentale che quelle discussioni siano affrontate senza slogan, senza urla, bensì con metodo, chiarezza e cura nei confronti delle generazioni future.