Dietro la scalata a Mediobanca «non sussiste il patto occulto» fra i soci Delfin e Caltagirone e «non sussiste il concerto» con i vertici del Monte dei Paschi. È quanto si legge in un documento della divisione vigilanza emittenti della Consob, datato 15 settembre, diffuso ieri dal Sole 24 Ore. Documento che è stato già inviato alla Procura di Milano come d'obbligo in relazione agli esiti dell'attività di vigilanza svolta. Può rappresentare la pietra tombale dell'inchiesta attualmente in corso? No. Ma di sicuro accresce la confusione sull'esistenza della pistola fumante in mano agli inquirenti. Intanto, resta cristallizzato che al 15 settembre per il Garante della Borsa il concerto non c'era. Va ricordato che il 27 novembre, giorno in cui sono state rese note le indagini sulle ipotesi di manipolazione di mercato e ostacolo all'attività di vigilanza, lo stesso presidente della Consob, Paolo Savona, era stato cauto spiegando che «ci sono alcune ipotesi di reato, come l'insider trading, che se la magistratura del tribunale finanziario affronta con i criteri della riforma Cartabia, si può muovere solo avendo documentazioni certe. Dunque, allo stato non saremmo in grado di perseguire alcun insider trading»,
aveva spiegato Savona durante un'audizione al Senato aggiungendo che avrebbe studiato le carte giudiziarie arrivate in quelle ore.
In sostanza, dopo alcune sentenze e la successiva entrata in vigore della riforma Cartabia - che ha ristretto ancor di più le maglie - per reati come l'insider trading non è più sufficiente basarsi su indizi parziali: servono prove solide che dimostrino in modo chiaro e diretto la condotta illecita e che consentano una ragionevole previsione di condanna. Altrimenti, il giudice può decidere di non procedere oppure di archiviare il fascicolo già nelle fasi preliminari, senza arrivare così al dibattimento.
Vedremo quali elementi nuovi emergeranno dal materiale raccolto dalla Gdf su disposizione dei pm Giovanni Polizzi e Luca Gaglio con le perquisizioni e acquisizioni fatte a fine novembre. Insomma, se salterà fuori la smoking gun di cui finora non si vede l'ombra, come peraltro ammesso in un passaggio del decreto che ha accompagnato le perquisizioni: «Evidenti ragioni di completezza dell'indagine impongono di svolgere ricerche volte anche all'acquisizione di eventuali fonti di prova diretta dell'accordo, così come a chiarire diversi aspetti che le indagini sinora svolte hanno lasciato opachi o contraddittori», vi si legge. C'è, intanto, da chiedersi perché la Procura sia andata avanti nonostante la posizione chiara della Commissione, con il rischio anche di un eventuale conflitto istituzionale qualora i temi da dirimere siano di ordine interpretativo. Ma cosa ha scritto il 15 settembre la Consob? Dopo mesi di indagini, l'Autorità di vigilanza
sostiene che «nessuna delle condotte riferite da Mediobanca - peraltro non supportate da evidenze probatorie di alcun genere - è parsa essere caratterizzata da profili di potenziale criticità o allarme» e che «sulla base delle attività di verifica svolte, non siano sussistenti quegli indizi gravi, precisi e concordanti idonei e necessari per accertare la sussistenza di un'azione di concerto tra i soci Delfin, Caltagirone e il Mef attuata anche tramite Mps, nonché la conseguente sussistenza di un obbligo di Opa su Mps» e su Mediobanca. E, «più in particolare, non sono stati rilevati accordi verbali o scritti, espressi o taciti, ancorché invalidi o inefficaci, tra i soggetti» già citati «che rappresentano il presupposto della relazione consensuale in cui si sostanza l'azione di concerto né la sussistenza di tali accordi pare potersi inferire in via indiziaria, attraverso la valorizzazione di elementi fattuali, quali la constatazione di una condotta allineata da parte» di Caltagirone, Delfin e Mps.
La Commissione sottolinea, inoltre, che il primo documento che ipotizza l'operazione di integrazione con Mediobanca è stato presentato dall'amministratore delegato del Monte, Luigi Lovaglio, a un incontro al Mef, il 16 dicembre 2022, ben prima cioè che si verificassero le condizioni per gli acquisti di titoli Mps (il famoso 3,5% del capitale) da parte di Caltagirone e Delfin.

