Voteremo con ogni probabilità fra poco più di un anno e, come sempre quando le elezioni si avvicinano, torniamo a parlare di riforma della legge elettorale. È scusato chi senta salirsi la nausea di fronte a un dibattito ormai quarantennale e ai suoi infiniti tecnicismi. Sono scusati quanti guardano con irritazione a un Paese malato nel quale si discute delle regole del gioco più di quanto non si giochi. Eppure, con buona pace di irritati e nauseati, la questione resta fondamentale. Per ragioni che hanno a che fare con la proiezione globale dell'Italia prima ancora che con la politica domestica.
La stabilità istituzionale della Penisola è stata una gran risorsa in questi ultimi tre anni, lo si è detto tante volte, per le trattative internazionali così come per il consolidamento delle finanze pubbliche e l'attrazione di investimenti esteri. Non solo: la stabilità è stata garantita da un governo politico sostenuto da una chiara legittimazione elettorale. Dopo un decennio racchiuso fra due esecutivi tecnici, Monti e Draghi, e caratterizzato dalla ribellione dell'elettorato italiano contro i vincoli europei, Giorgia Meloni ha saputo ricucire l'interno con l'esterno, la presenza italiana sulla scena mondiale e continentale con la democrazia. È il suo maggior successo. L'Italia ha pagato un prezzo, certo: la crescita dell'astensione. Se milioni di elettori disertano le urne è anche perché si rendono conto dei limiti stretti entro cui può muoversi la sovranità nazionale, ossia dello scarso valore del loro voto. Ma, piccolo vaso di coccio nel più grande vaso di coccio europeo, la Penisola si è almeno potuta giocare qualche carta nella partita globale in corso.
Se la si affronta partendo da queste premesse, la legge elettorale smette di essere una questione che interessa soltanto ai politici in cerca di rielezione. Riguarda tutti noi perché ne dipende la risposta a una domanda cruciale: l'Italia attraverserà i prossimi anni, che rischiano di essere ancora più pericolosi di quelli che abbiamo appena vissuto, guidata da un governo stabile e politico? L'attuale sistema di voto è concepito in modo tale da rendere assai probabile una risposta negativa. Di più: è stato volutamente progettato perché al potere vadano alleanze centriste e trasversali. Nel 2022 il destra-centro ha conquistato le camere col 44 per cento dei voti, ma solo in virtù delle divisioni interne al centrosinistra. Non è detto che quel risultato non sia replicabile, ma se l'attuale opposizione si presenta unita, l'eventualità che nel prossimo Parlamento non vi sia alcuna maggioranza politica cresce di molto.
E se non ci fosse, quella maggioranza politica, sarebbe perfetto si potrebbe replicare guardando proprio alla dimensione internazionale. Poiché entrambi gli schieramenti, di destra e di sinistra, sono divisi sulla questione ucraina, che per l'Europa è vitale, allora ben venga un'alleanza centrista che si cementi su una robusta e convinta convergenza di politica estera. Evviva l'attuale sistema elettorale, allora. È un ragionamento che non può essere scartato con leggerezza, questo. Tanto più che non sappiamo come evolveranno nei prossimi mesi i rapporti fra Europa e Russia, che le tensioni potrebbero crescere ulteriormente e le differenze interne all'attuale maggioranza e all'attuale opposizione approfondirsi fino a diventare ingestibili.
Pur non sottovalutando queste ragioni, d'altra parte, le ritengo sbagliate. Almeno per il momento. Per un motivo piuttosto semplice: perché in una congiuntura come quella attuale, nella quale le coordinate globali vengono profondamente ripensate, l'Italia ha bisogno di tanta politica e tanta legittimità democratica. Non siamo più nel 2021 di Draghi, tanto meno nel 2011 di Monti. Non c'è più un ordine europeo al quale la Penisola possa affidarsi. Semmai c'è un disordine europeo che dev'essere ripensato a fondo e che può esserlo soltanto coinvolgendo i cittadini. Malgrado il nostro dibattito pubblico sia in condizioni pietose, malgrado la nostra politica sia terribilmente impoverita, malgrado mezzo Paese non voti più anzi, proprio per queste ragioni , è urgente che gli elettori siano chiamati a prendere posizione e assumersi le proprie responsabilità di fronte al cambio d'epoca che stiamo vivendo.
È questo, infine, il senso profondo dell'altrimenti noiosissima questione della legge elettorale. Si tratta di decidere se sia meglio per l'Italia affrontare il futuro passando attraverso una competizione democratica reale, per quanto insoddisfacente e caotica, o affidarsi a una grande coalizione centrista con venature tecnocratiche.