Niente abito blu gessato, sostituito da un giubbotto di pelle indossato sopra una t-shirt, pantaloni di velluto beige e sneakers. Domenica torinese per Paolo Zangrillo, ministro della Pubblica amministrazione e coordinatore di Forza Italia in Piemonte. «Non ho preso alcun impegno, ho tre figli adolescenti che vedo raramente» racconta mentre è alle prese con un laborioso trasloco da Moncalieri al centro storico di Torino.
Ministro Zangrillo, che cosa sta succedendo nella sua città? Prove di partito islamista, l'assalto alla Stampa, antagonisti coccolati dal Comune, vescovi che difendono l'imam colluso con pericolosi estremisti.
«Sto seguendo con preoccupazione un fenomeno che da episodico sta portando a uno scenario dove si coglie una progressione di iniziative che creano un'autentica strategia della tensione. E con l'assalto alla Stampa, molto grave, si è alzato il livello».
E come si può fermare questa escalation?
«Dobbiamo dare un segnale nettissimo: chiudere il centro sociale Askatasuna, è inevitabile. Sono basito a leggere un ex magistrato come Caselli che parla di iniziativa lodevole sul dialogo tra Comune e centro sociale. Ma come si possono fare iniziative con chi predica l'anti Stato? Askatasuna è una centrale italiana e forse internazionale dell'eversione. Insistere sui percorsi di dialogo è fuori dalla realtà. Gli accordi pubblici si fanno solo con i cittadini perbene».
Da tempo lei denuncia la mancata sponda della sinistra contro questa deriva violenta. È ancora così?
«La posizione della sinistra è ambigua. Certo, condannano, ma non arrivano mai fino in fondo. Un deputato Pd, Laus, ha addirittura chiesto se ci sono state responsabilità delle forze dell'ordine in quell'assalto. Così si ribalta la frittata ed è inaccettabile».
Ma in concreto, ministro, chi può chiudere Askatasuna?
«È il Comune di Torino che deve richiedere l'intervento come proprietario dell'immobile. Il sindaco Lo Russo, invece di dialogare, faccia il necessario per richiederne lo sgombero. Come governo non stiamo a guardare, ne ho già parlato al ministro Piantedosi ponendo il problema di un intervento necessario per la sicurezza del territorio».
Nella sua precedente vita da manager, e oggi come ministro, si è sempre confrontato con il sindacato. Coglie veramente uno spirito da rivolta sociale?
«Nel percorso negoziale ho colto l'assoluta indisponibilità al dialogo della Cgil, ma è una posizione più di Landini che dell'intera organizzazione. Ho colto anche sofferenza nella Cgil per questa posizione di rivolta sociale. Landini non fa più il sindacalista ma politica per ritagliarsi un ruolo nell'estrema sinistra. È inopportuno parlare di rivolta sociale quando gli indicatori economici sono positivi e l'Italia sta godendo di condizioni di solidità e stabilità».
Come responsabile della pubblica amministrazione ha rinnovato quasi tutti i contratti statali. Eppure il Pd la sta definendo «un ministro a sua insaputa».
«Ho chiuso tutti i contratti, quello che la sinistra non ha fatto quando ha governato. Abbiamo messo 20 miliardi nelle manovre 2023-2024. E appena lo scorso 3 dicembre abbiamo avviato la tornata 2025-2027. Non era mai successo. Ma il Pd mi attacca perché chiedo più sicurezza nelle grandi periferie che ormai sono diventate delle banlieu. Proprio loro, che non hanno mai rinnovato il contratto delle forze dell'ordine. Noi invece abbiamo stanziato per le divise 2,3 miliardi per più di 50mila assunzioni tra il 2023 e il 2027».
Non sono passati inosservati i suoi frequenti incontri con Marina Berlusconi, che ha sempre apprezzato le sue doti manageriali. Incarico in vista dentro Forza Italia?
«Sto svolgendo il mio lavoro di ministro, non ho grilli per la testa circa nuovi incarichi di partito. Marina si occupa in modo autentico di Forza Italia, una creatura del padre cui attribuisce un valore importantissimo. Ci si confronta per intercettare quella vasta prateria di cittadini che rinunciano a votare: esprime sempre idee intelligenti. E siamo tutti d'accordo con il segretario Tajani nel ricordare come il potenziale di Forza Italia sia nettamente superiore al 10% elettorale».
In Piemonte sta crescendo l'immagine del governatore Cirio che, oltre essere iperattivo, dialoga direttamente con i cittadini sui social. Sarà lui un asso del centrodestra alle politiche 2027?
«Alberto è un bravo presidente della Regione, l'avevo voluto fortemente parlandone con Silvio Berlusconi. Avevamo visto giusto: lo dice la sua riconferma l'anno scorso dopo quella maledetta legislatura precedente, segnata da tre anni di pandemia. Cirio ha già un ruolo nazionale, è vicesegretario di Forza Italia. Ma ora, in questa legislatura in Piemonte, abbiamo la necessità di recuperare il tempo perduto».