La fotografia contemporanea perde una delle sue voci più riconoscibili. Martin Parr, nato nel 1952 e considerato tra i più influenti documentaristi del secondo Novecento, è morto nella sua abitazione di Bristol all’età di 73 anni. L’annuncio è arrivato dalla Martin Parr Foundation, che in una nota ha comunicato con “profonda tristezza” la scomparsa dell’artista: un lutto sentito non solo dal mondo della fotografia, ma da un pubblico globale che da decenni seguiva e ammirava il suo sguardo ironico e affilato sulla realtà.
Parr lascia la moglie Susie, la figlia Ellen, la sorella Vivien e il nipote George. La famiglia, attraverso la Fondazione, ha chiesto riservatezza in questo momento di dolore.
Dai primi scatti al bianco e nero allo stile iconico a colori
Nato a Epsom, nella cintura londinese, Parr si avvicinò alla fotografia giovanissimo, affascinato dai grandi maestri del reportage europeo come Henri Cartier-Bresson e Bill Brandt. I suoi primi lavori, infatti, erano in rigoroso bianco e nero. L’ambizione però era già chiara, come lui stesso aveva raccontato in un’intervista concessa lo scorso febbraio a Miranda Sawyer del Guardian: "Sapevo che sarei diventato un fotografo già a 13, 14 anni. La fotografia era un’ossessione, e penso che per un artista sia normale esserlo."
Negli anni, il linguaggio visivo di Parr si allontanò progressivamente dalle atmosfere classiche per abbracciare un’estetica totalmente diversa: colori saturi, prospettive ravvicinate, un’ironia pungente che lo rese unico nel panorama documentario internazionale. Quando gli venne chiesto di definire il suo stile, rispose con la consueta franchezza: "La mia fotografia è fatta di colori vivaci e di un rapporto stretto con il soggetto. Il colore introduce una distanza dalla realtà, e questo fa parte della mia… chiamarla “visione” suona un po’ presuntuoso, ma è così. E naturalmente c’è l’umorismo: la vita è buffa, e cerco di farlo emergere nei miei scatti."
Il successo negli anni ’80
Il grande pubblico iniziò a conoscere il suo nome nella seconda metà degli anni Ottanta, quando pubblicò The Last Resort, il progetto che lo rese una figura centrale della fotografia contemporanea. Realizzata tra il 1983 e il 1985 nella località balneare di New Brighton, vicino Liverpool, la serie raccontava la classe operaia britannica in vacanza, tra caos, colori accesi e una sincerità visiva che all’epoca fece discutere e allo stesso tempo affascinò la critica.
Da allora, Parr non si è più fermato. Tra le sue opere più importanti si ricordano Bad Weather (1984), The Cost of Living (1989) e Common Sense (1999), libri e progetti che hanno contribuito a definire una nuova estetica documentaria, spesso imitata ma difficilmente replicabile.
Una carriera internazionale
Negli anni ’90 Parr entrò a far parte della Magnum Photos, presentato nientemeno che da Cartier-Bresson. All’interno dell’agenzia divenne rapidamente una figura chiave, contribuendo a rinnovare il linguaggio visivo del collettivo e aprendo la strada alle generazioni successive. Il suo lavoro lo portò in giro per il mondo: dall’Europa al Giappone, dalle spiagge inglesi alle metropoli globalizzate. Parallelamente, insegnò all’Università del Galles e ampliò la sua attività anche alla musica, alla produzione video e ai nuovi media, sempre con la stessa curiosità che permeava le sue fotografie.
Uno sguardo unico sulla società contemporanea
Il tratto distintivo di Parr è sempre stato la capacità di cogliere la quotidianità nella sua dimensione più autentica, spesso stravagante, talvolta spiazzante, ma sempre profondamente umana. Le sue immagini, apparentemente leggere, rivelano una profonda attenzione per i comportamenti sociali, per il consumo di massa, per le trasformazioni culturali degli ultimi decenni. Una sintesi del suo universo estetico e narrativo è proposta anche dal documentario I Am Martin Parr, diretto da Lee Shulman e uscito lo scorso anno, che ripercorre la sua vita e il suo metodo di lavoro.
Un’eredità destinata a durare
La morte di Martin Parr segna la scomparsa di una figura che ha saputo ridefinire il concetto stesso di fotografia documentaria. Il suo modo di guardare il mondo, attraverso ironia, colore e un’acuta osservazione sociale, ha lasciato un’impronta destinata a rimanere nel tempo.
Il suo archivio e i suoi progetti continueranno a vivere grazie alla Martin Parr Foundation, che custodisce la sua produzione e sostiene nuovi talenti della fotografia contemporanea. Un’eredità preziosa, che continuerà a illuminare il panorama artistico internazionale.